giovedì 30 giugno 2016

IL PESO AMBIENTALE DI 'THE FLOATING PIERS' DI CHRISTO

Molti sono gli articoli in rete su The floating piers, installazione temporanea dell'artista Christo in questi giorni visitabile. Tutti hanno posto l'accento su come vivere nel modo migliore l'esperienza e nessuno si è chiesto cosa accade all'opera una volta dismessa? Qual'è stato l'impatto dell'installazione a livello globale? Io cerco di dare una possibile risposta a queste domande.



Essere parte di un'opera d'arte per un giorno? Non si può resistere! The floating piers è la ventritreesima installazione su larga scala che l'artista Christo Vladimirov Yavachev aveva ideato con la moglie Jeanne-Claude già nel 1970, ma solo adesso è riuscito a realizzare in Italia, dopo vari permessi rifiutati prima in Argentina e poi in Giappone.

Se ti stai chiedendo perchè ti parlo della passerella galleggiante e cosa ti posso dire di nuovo continua a leggere perchè ho fatto delle valutazioni sull'impatto ambientale dei materiali usati.

E' stato un lungo viaggio in una giornata di caldo umido spossante, ma una volta arrivati sul Lago d'Iseo tutto è andato per il meglio. Sarà che siamo arrivati all'ora della siesta, sarà che abbiamo scelto accuratamente un giorno settimanale, ma al contrario di quanto si legge in giro non siamo incappati in code e lunghe attese. Il sole al tramonto poi ha arricchito tutto della sua luce più intensa rendendo ancora più dorato il tessuto che ricopre la passerella.

Per quanto suggestivo possa apparire il panorama, vedere l'opera da fuori e dall'alto non rende quanto passeggiarci sopra. Lo stesso Christo ha dichiarato che la sua intenzione è quella di far vivere l'esperienza di camminare sull'acqua, o al limite la sensazione di camminare sul dorso di una balena. Direi che è più calzante questa seconda opzione.




La passerella è larga 16 metri ed è composta da cubi di plastica galleggianti le cui file esterne sono semiaffondate per raccordarle con il pelo dell'acqua. Purtroppo però non si può camminare a meno di 2/3 metri dal bordo, rimanendo quindi verso il centro l'esperienza è più quella di camminare su un grosso cetaceo che si inarca e affonda lievemente nell'acqua, in un movimento continuo che ti accompagna per tutto il tragitto. Penso che molti abbiano avuto il mal di mare e altri abbiano fatto l'esperienza del mal di terra. Cioè abbiano vissuto la sensazione del movimento e dell'instabilità del suolo anche una volta arrivati sulla terra ferma, sensazione tipica di quando si arriva in un porto dopo aver passato alcuni giorni in barca.

Ma veniamo al motivo per cui ho voluto scrivere di The floating piers. Se hai già letto qualche mio post, sai che il mio interesse è verso la sostenibilità e compatibilità con l'uomo e l'ambiente dell'architettura e dei prodotti che vengono utilizzati. Per questo, a parte la bella esperienza, sono stata molto interessata agli aspetti tecnici della realizzazione della passerella.

Una volta capito chi, cosa, come e quanto, è venuta spontanea una domanda: perchè tutto questo materiale non viene riusato, ma sarà rimosso e riciclato industrialmente? Il motivo è chiaro: niente deve rimanere eccetto i ricordi, le foto e i filmati, così si è certi che nessuno speculerà su un'opera d'arte rivendendosi le parti.



Una volta ritornata alla base però ho continuato la mia riflessione.

Nella gerarchia dei rifiuti della Comunità Europea la prima opzione è la riduzione degli scarti alla fonte; poi segue il riuso, cioè il riutilizzo tal quale e ripetuto dei prodotti e dei materiali; la terza opzione è il riciclo, cioè la trasformazione di prodotti che hanno terminato un primo ciclo di vita per produrne altri nuovamente utili; una quarta opportunità, da applicare se proprio non si è riusciti a ridurre riusare o riciclare, è il recupero di energia dai vecchi prodotti; infine la discarica, opzione però che non si dovrebbe nemmeno arrivare a considerare.

E' vero che una parte dei materiali durante i 16 giorni di installazione subiranno danni da usura come il telo e il feltro sottostante che scoloriranno, si macchieranno, si strapperanno e quindi è necessario per questi prevedere un riciclo. Altro ragionamento si potrebbe fare per gli elementi modulari galleggianti, in polietilene ad alta densità, e le relative corde di ancoraggio, che invece non subiranno alcun deterioramento (escludendo atti vandalici) per cui potrebbero essere riusati, opzione più virtuosa e meno impattante rispetto al riciclo.


Img credits:Wolfgang Volz

Ma come? Pensando a possibili riusi mi sono venuti in mente tutti quei circoli velici o di canottieri che sull'acqua svolgono le loro attività ed hanno sempre bisogno di punti di appoggio. Prevedendo un riuso dei cubi sarebbe possibile distribuire le migliaia di moduli galleggianti a molti circoli esistenti su tutto il territorio nazionale. Certo si tratta di luoghi dove l'accesso è limitato ai soci.
In alternativa, per un beneficio a favore di più persone, si potrebbe pensare alle zone umide e le oasi naturalistiche dove percorsi sull'acqua sono ammessi, ma i rigidi regolamenti giustamente non consentono la realizzazione di opere permanenti. Si sa che gli enti pubblici non se la passano molto bene quindi non investono in opere temporanee e allora in questi casi anche piccole porzioni del pontile galleggiante riusato tal quale, senza una spesa eccessiva, permetterebbe una facilità di fruizione da parte di chiunque. Se è vero che la conoscenza aiuta a stringere legami con i luoghi che saranno per questo più curati, allora non potrà che essere un vantaggio avere percorsi galleggianti che possano anche essere rimossi stagionalmente a seconda delle esigenze.

Dato che niente di tutto questo sarà fatto, ho cercato di capire che impatto The floating piers ha avuto per i soli 16 giorni di uso, andando a verificare un paramentro come la CO2 equivalente emessa in fase di produzione.


Img credits: Wolfgang Volz


I dati forniti dall'organizzazione e dai produttori sono sufficienti per calcolare in modo abbastanza preciso le quantità e la tipologia di materiali utilizzati e quindi la corrispondente quota di CO2 emessa:
ad esempio i 220000 cubi galleggianti in PEHD compresi i relativi pioli di connessione hanno prodotto 3326,4 Tonnellate di CO2 equivalente, il feltro (70000 mq) e il tessuto (100000 mq) con cui è rivestita la passerella hanno prodotto 1949 TCO2e, gli ancoraggi in calcestruzzo immersi a 90 metri di profondità hanno prodotto 4,1 TCO2e, infine le corde di ancoraggio in UHMWPE hanno prodotto 338,2 TCO2e, per un totale complessivo di 5617,7 Tonnellate di CO2 equivalente. Tutto questo calcolo non tiene in considerazione il trasporto e il montaggio dell'opera che non mi è possibile quantificare, ma che sicuramente hanno contribuito in modo sostanziale ad innalzare la quantità di anidride carbonica complessivamente emessa dato che le operazioni sono state svolte non solo con mezzi su gomma, ma anche con elicotteri e imbarcazioni. E dire che si potrebbe anche andare oltre ipotizzando le emissioni dovute all'affluenza di visitatori che hanno raggiunto il lago in auto, piuttosto che in treno o con altri mezzi.


Img credits: Wolfgang Volz

Non è facile rendersi conto a cosa corrisponda questa quantità, ma tutto è più facile se si pensa che per assorbire quella produzione di CO2 occorrono circa 3745 alberi di grande dimensione per 50 anni di vita, cioè un bel bosco attivo di quasi mezzo kilometro quadrato.

Avresti mai pensato che un'opera temporanea potesse avere così tanto peso ambientale?


Giulia Bertolucci Architetto







mercoledì 8 giugno 2016

AMA LA NATURA – NON TI TRADIRA'



Oggi 8 giugno sarebbe il 149° compleanno di Frank Lloyd Wright.
Nessuno ha mai vissuto così a lungo, ma la grandezza di una persona e le sue opere sopravvivono per molto tempo grazie anche alla cura ad esse dedicata da parte delle generazioni future.
Frank Lloyd Wright, grande personaggio il cui messaggio innovativo ha rivoluzionato l'architettura del ventesimo secolo, è tutt'ora la figura di riferimento per coloro che seguono i principi dell'architettura organica.


Equilibrio tra ambiente naturale e costruito è il fine essenziale della sua architettura creata in un'epoca di forti cambiamenti tecnologici e di espansione industriale caratterizzata dalla vertiginosa crescita delle città, del traffico veicolare e delle industrie, dall'invenzione di nuovi macchinari e delle automobili, dalla produzione di manufatti per l'edilizia sempre più grandi in acciaio e calcestruzzo. Proprio in opposizione alla velocità con cui tutto avveniva egli creò ambienti di vita più umani e confortevoli mettendo in atto la sua architettura organica che, partendo dal luogo, dal tempo, dai materiali, e attraverso un profondo studio della natura e dell'ambiente, si concretizzava con edifici unici.

“risultato dell'arte del costruire dovrebbe essere una poetica serenità, anziché una 'efficienza' mortale, in sempre maggior copia”

Un tipo di architettura influenzata da un suo viaggio in Giappone nel 1905 durante il quale ebbe modo di osservare e vivere la casa giapponese che gli apparve come  “un tempio di suprema pulizia ed essenzialità”  in cui gli ambienti concatenati tra loro, separati solo da leggeri diaframmi, erano caratterizzati da una stretta relazione con la natura.




Gli elementi più importanti del suo progetto organico possono essere sintetizzati da una parola chiave: sincerità. Sincerità dei materiali, dell'organizzazione funzionale, della rispondenza tra articolazione spaziale interna ed esterna.

Gli obiettivi generali sono:
  • ridurre le partizioni al minimo e rendere l'abitazione più libera (maggiore semplicità di lettura da parte delle persone e maggiore economicità di realizzazione)
  • creare armonia tra l'edificio ed il suo intorno, sia per forme e volumi che per colori
  • abolire ogni decorazione posticcia che avrebbe aumentato i costi solo per ragioni estetiche e prediligere forme basiche
  • evitare le combinazioni di troppi materiali tra loro diversi e non integrati- 

    “usare erroneamente qualsiasi materia è tradire l'integrità di tutta la composizione”


Tra le sue opere la residenza dei signori Bachman-Wilson ha avuto una storia particolare. Fu progettata e realizzata tra il 1954 e il 1956 sulle rive del fiume Millstone in New Jersey (USA) per una coppia di giovani con medie disponibilità economiche. Affascinati dalle opere di Wright che avevano visitato, gli chiesero di progettare la loro casa a patto che costasse non più di 20000 dollari e che permettesse loro di realizzare parte delle lavorazioni. Un nuovo tipo di richiesta che era in aumento a causa del periodo di crisi economica che faceva ancora sentire i suoi strascichi. Direi molto simile al tipo di richiesta che ancora oggi viene manifestata da molti.
Per andare incontro a questa nuova committenza, non proprio danarosa, Wright semplificò i suoi progetti senza negare i principi dell'architettura organica da lui creata, dando vita a una serie di realizzazioni definite Usonian Homes.

“L'edificio è un organismo soltanto se armonizza l'interno con l'esterno e ambedue col proprio carattere e fine, e col processo costruttivo, e col luogo, e col tempo”




La residenza Bachman-Wilson è basata su una pianta semplice aperta, modulata su una griglia quadrata, ed è caratterizzata da un lato completamente chiuso di protezione dalla strada e un lato, all'opposto, completamente vetrato. I materiali usati sono blocchi di cemento a vista, legno e vetro.

In essa Wright impiegò i primi fondamenti dell'architettura sostenibile: ridusse al minimo la dimensione della casa per ottimizzare i costi, cercò di massimizzare la captazione solare passiva soprattutto per sfruttare al massimo l'illuminazione naturale e ridurre la necessità di apporto elettrico, scelse un sistema di riscaldamento radiante a pavimento, inserì arredi che potevano essere realizzati dai committenti stessi e fu pioniere anche per la gestione e il recupero degli scarti di cantiere.

“Tutti i materiali atti ad essere usati in edilizia sono importanti, più che mai. Sono tutti significativi: ognuno secondo la propria particolare natura. Materiali vecchi e nuovi hanno il proprio contributo vivente da offrire alla forma, al carattere e alla qualità di qualsiasi edificio. Ogni materiale può divenire un felice fattore determinante”

 

Negli anni purtroppo è stata abbandonata e nel 1988 quando la coppia di architetti Tarantino l'acquistò dovette intraprendere un'opera di restauro complessivo. Dopo anni di studio di documenti e disegni originari, e di cura dei lavori di restauro, la residenza è tornata a mostrare la sua particolare armonia, equilibrio e bellezza. Ma nuove minacce si sono succedute. A causa dell'acuirsi dei fenomeni meteorologici la casa è stata inondata dal fiume più volte riportando danni. E' per questo che i proprietari hanno deciso di proporre la vendita dell'edificio a patto che venisse spostato in altro sito più sicuro che ne garantisse la manutenzione.




La conservazione della residenza Bachman-Wilson è stata possibile grazie all'acquisto e trasferimento, tramite smontaggio, catalogazione delle parti e ricomposizione dell'edificio (2013/2015), presso il Crystal Bridges Museum in Arkansas.
Lo spostamento può far pensare che siano andati perduti i presupposti tanto cari a Wright:

“Ogni edificio vero, come ogni tonalità musicale, ha il suo fulcro, i suoi flussi, e sta armonicamente nel suo luogo come un cigno nel suo specchio d’acqua”

in realtà la nuova collocazione garantisce lo stesso tipo di integrazione con la natura e ha il medesimo orientamento.






 Giulia Bertolucci

Citazioni tratte da “Testamento”, di Frank Lloyd Wright , Einaudi , Torino , 1963
Fonte Immagini:   www.architecture.org  ; www.crystalbridges.org  ;  www.bachmanwilsonhouse.com www.tarantinostudio.com